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Che cos’è il terzo occhio? Un filtro per comprendere meglio, oppure una dannazione? Mi ritrovo a fantasticare congetture e astrusi assiomi per interpretare tutto ciò che mi circonda: dal bambino che dinanzi al corpo maciullato di un gatto ride a crepapelle, alla collega stronza che non conosce i Rolling Stones, al fatto che siamo carne portata all’ingrasso: che deve nascere, indebitarsi e crepare, al continente nero di cui parla Freud sul quale pare non sia approdato mai nessuno, senza forse soccomberci. Dov’è la passione? Mi guardo intorno, come un detenuto fuori il cortile della prigione, parole spuntano fuori da bocche deformate, Amore schernito, deriso, imbarazzato. I sentimenti ridicolizzati, messi al patibolo. Sono triste, cerco le risposte, trovo solo domande, che pongo a me stessa e sono per lo più incomprensibili. Arzigogoli mentali rigorosamente voluti, labirinti senza via d’uscita, rifugio per quelli come me, che non hanno più fede, ma che vogliono proteggersi dalla mediocrità dilaniante. Non voglio vedere più la fine negli occhi delle persone che amo, abbiamo bisogno di possibilità, di altri gettoni, di altri giri, di altro tempo, tempo da trascorrere insieme.

Dov’è la rivoluzione? No, non può finire così, senza luce e con la spada nel cuore. Voglio proteggermi dalle cose insulse: merce di scambio, conti in banca, mesi che vanno e vengono, un posto per tutti, l’anonimato, la privacy, vizi privati e pubbliche virtù. Io mi sono persa nella nostalgia, succhio un cucchiaino di miele, lo lecco avidamente, mentre conto i miei anni dislocati un po’ qua e un po’ là e non so camminare, ho tutto il peso nella parte superiore del corpo e le gambe sono leggere e i piedi non riescono ad essere aderenti al pavimento e non cado. Non cado.

Dov’è Luca? Forse è riuscito ad uscire dalla cella, l’hanno liberato, lui ha visto la luce con me, filtrata e modulata secondo le nostre attitudini, dosata, centellinata, preziosa. Abbiamo lottato tanto. Dov’è la ribellione? Siamo all’interno di un gorgo, un vortice, eppure siamo già sul fondo. No, non ho paura di morire, ho paura di scivolare via, di finire con un pugno di mosche in mano, ho paura della semplicità della morte. Aspetto di andarmene via in silenzio, senza rumore. Ho paura di stare lì seduta, ad aspettare e a contare le mosche chiuse nella mia mano, così senza dare nell’occhio, tanto rumore per nulla. Dalla finestra della Tonnara ascolto il mare, vedo una sirena ,forse,che magica mi ammalia e mi fa sentire meno dolore. Dov’è Luca? L’ho perso fra la gente, sono orfana. Non è ancora estate e il Falco della Regina è venuto a deporre le sue uova. Stasera in paese c’è la sagra del cous cous, anch’io sono a metà: un po’ falco e un po’ sirena, un po’ gioia e un po’ disperazione. Smetto all’istante di fantasticare e metto addosso la prima cosa che trovo, stasera ho voglia di oblìo, di danze, di Oriente, di rossetto rosso, di tacchi alti, di patchouli, voglio andare in giro senza mutande e reggiseno, solo con un abitino sottoveste e la pelle ambrata dal sole di aprile. Lo so a cosa stai pensando? Vuoi andare al forno, l’ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, non è stato come le altre ,di volte, lento, percepibile di tutte le sensazioni, quel desiderio sulla bocca, tutto chiaro, descrivibile, movimenti ondulatori, colpi precisi. No, è stato veloce, confusionario e incomprensibile, non mi piace, non va bene. Sì, lo so lavori al forno dell’isola, la gente mormora, io sono sola e disperata, bloccata alla Tonnara a leggere la vita , ad accarezzare la morte, a pensare alle sirene e a bere Cannonau. Una povera pazza.

Dov’è Luca? Voglio qualcosa di pesante stasera, sto affrontando il discorso della pluralità nel sesso, lo ammetto non è sempre stato uno dei miei più reconditi sogni erotici, perché non riesco ad uniformarmi al pensiero comune, l’idea di sedicenti adunate e comizi carnali non mi ha mai ispirato più di tanto. Mai porre limite al desiderio però, mai porre limite all’orgasmo, però. Provare e poi giudicare, sono d’accordo. La mia idea di pluralità è più genuina, privata, in una casa di campagna lui/lei/l’altro, luci soffuse, qualche bicchiere di troppo, il suono delle cicale, il tepore di una notte primaverile, il sudore, la temperatura che aumenta, i vestiti scomposti, gli sguardi ammiccanti, un po’ di jazz e qualche timido ballo. Non immagino mai il sesso “plurale” in grandi sale lussuose, vestiti eleganti e lingerie costosissima, accarezzo il pensiero di una scena quasi frugale, consumata nella quotidianità, rassicurante, dove il brivido è l’orgasmo stesso, nulla più. Perché non riesco a respirare? Perché ho un urlo soffocato in gola? Dov’è Luca?

-Niente coucous di pesce?

Gli lecco letteralmente la guancia destra nel retrobottega, fra turisti affamati e anonimi. Non smetti di guardarmi.

-Dove hai preso il vestito?

Mi abbassi una spallina, baci il collo, arrivi fin dietro l’orecchio e ti fermi lì, inizio a respirare

-L’ho rubato alla Caletta, le api se lo stavano mangiando.

Mi prendi in braccio, mi chiudi nella dispensa, apro le gambe,sono stanca, fai tutto tu, sfinita nei pensieri e nella membra, mi sistemo su un tavolaccio di legno. Le tue mani sono bollenti e ruvide, scivolano tra le mie cosce, che stasera sono serrate, sarà perché sto per fare la donnina allegra anche stavolta, sarà perché vedo Luca che ci spia dietro il buco della serratura, sarà che voglio la mia dose, senza se e senza ma, Panettiere sa bene come ovviare a tutto ciò e lo fa in silenzio, io mi sento come un ubriaco che con gli occhi chiusi percorre la strada di casa, incosciente e sicuro di ritrovare il suo focolare. I miei respiri si fanno sempre più profondi, devo riuscire a controllarli, voglio sentirlo di più. Luca è dietro la porta e mi sorride, io accenno un timido sguardo, gli occhi persi nel vuoto, forse era davvero lì.

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