Slow dance?

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Camminavo scalza per il corridoio lunghissimo, fuori c’erano il ponente, il libeccio e il maestrale che sembravano esortarmi a seguirli, mi incatenavano al pino di aleppo, mi torturavano con i loro sìbili e fischi, spessissimo, stavo al loro giógo, altre volte mi nascondevo in un mobiletto dell’ingresso affinché non mi trovassero. La casa era nuova: infissi in legno/alluminio, parquet, la poltrona Belém nell’angolo, che pareva infilzasse chiunque tentasse di sedersi! Per essere una casa al mare aveva un tocco da loft newyorkese, aveva un’aura da appartamento di città. Era sola, in mezzo alla natura con un voglia prorompente di affermare la sua presenza, il suo carattere. Tutt’intorno nella pineta, arbusti di ginepro fenicio, arruffati, sembravano gatti sornioni e pelosi, che svegliavo la mattina quando aprivo le finestre blu, loro mi guardavano pigri e indispettiti, ed io respiravo forte quell’aria balsamica e pungente di mediterraneo, piena d’acqua, acqua dappertutto, blu dappertutto: come il divano, come le persiane. L’avevo ristrutturata da poco, non la riconoscevo più, mi sembrava una nemica adesso, era come se, non riuscisse più a proteggermi dal mondo esterno, chiudevo le finestre, sbarravo le porte, accompagnavo le tende pesanti di chiffon, ma nulla, la Tonnara era diventata minacciosa, insopportabile, pettegola, aveva fatto un patto coi venti per seviziarmi, non potevo più fidarmi di lei, dei suoi anfratti, della sua cucina, della libreria, del lettone in ferro battuto, tutti gli oggetti erano contro di me, mi spiavano dall’occhiello della serratura, mi sentivo come un improbabile Alice trentenne, che cerca di fuggire da quel mondo di meraviglie assurde, come in una casa di bambole, dove tutti sono inermi e morti e tu traffichi con padelle e qualche mestolo, in una cucina, dove tu sola sai, non mangerà nessuno, ma dove tu prepari lo stesso e apparecchi la tavola: piatti, bicchieri, fazzoletti, posate, acqua, già l’acqua, aspetti quegli invitati che non si siederanno mai, e allora alzi quel cucchiaio e lo affondi in quella minestra. Dentro è inverno, ma fuori è estate, alcuni sconosciuti tentano di varcarne la soglia, io mi sento impaurita, timorosa e ansiosa, sono come Eva Braun segregata nella prigione di Moloch, sono come il Silvio Pellico dello Spielberg, come il Cagliostro della Rocca di San Leo. Ho bevuto troppo ieri sera, oggi doveva iniziare la dieta detox, da qui non se ne esce. No escape. Avevo i RATM sparati a mille, c’erano almeno 41 °, il sole batteva a picco proprio sul terrazzino del bagno, dalla vasca ne vedevo i raggi fieri, ostinati e affilati della tarda controra, prima che mi immergessi in quell’acqua fresca e profumata di sandalo e fiori di loto, mi sentivo come un pollo infilzato nello spiedo, tutto oleato, con tanto di rosmarino e paprika.
-Stasera cenetta dai freakettoni-
-Mi raccomando, comportati bene, fai la brava-
Esserino aveva alzato bandiera bianca, aveva deposto le armi, si era fatto vecchio, gliene avevo fatte passare tante, troppe, adesso era un vecchio saggio coi baffi bianchi, sembrava Gandalf, anche se per me era Smigol, pensavo sempre che avesse la febbre addosso, e che non si lavasse.
-Tesoro, ma ti sei fatta magrissima!-
-Troppo sesso Mrs Maude, troppo sesso!-
-Beata te, qua, da decenni sono montate le ragnatele, anche se qualche preda riesco ancora a catturarla.
Il patio era addobbato come un bordello di Osaka, tra pagode, fiumiciattoli Feng Shui e un gruppetto appartato che faceva Tai Chi.
-Fiamma, stai facendo la solita accozzaglia di pensieri, mi sa che Pindaro è incappato,di nuovo, in uno sciame di gabbiani!-
Il mio vestitino era perfettamente in tema con il mood della serata: rosso, con fiorellini giallini, forse gelsomini stilizzati o margheritine, era abbottonato fino al collo, a giro maniche, aderente quanto basta, lungo fin sopra le ginocchia e con uno spacco di lato, tacco alto e capelli a chignon, mi sentivo come l’origami di una Geisha, la bozza di un cartone anni Ottanta, la baldracca di Goldrake boh, e avevo messo su troppo rossetto rosso, lo specchio rifletteva l’immagine di una Fiamma rovesciata, che stava per bruciarsi i bei piedini.
-Ahia!-
-Cos’hai in mente, in quella tua testolina piena di radici malate e ortiche pizzicanti?-
Non avevo voglia di cenare dai vicini, volevo starmene sul divano di casa, con l’aria condizionata e le bacche di Goji, e invece mi toccava fare visita al vicinato.Gli architetti filo-harumaki-ramen avevano chiuso un importante progetto su Tokio: la costruzione di un grande albergo e avevano organizzato questa soirée nipponica con tutto il corredo, mi ero portata il panettiere con me, ero consapevole di tenerlo da un po’ sulle spine, era una bomba ad orologeria, poveraccio, se quella sera non mi fossi concessa, credo mi sarebbe saltato addosso nel bel mezzo della portata Maki! Ma potevo anche rischiare un fragoroso: fanculo Fiamma! Un Fanculo che chiaramente avrei scongiurato in tutti i modi!
Mi rendo conto di avere un problema con il suono della voce di alcune persone. Cerco di rimanere calma e indifferente, ma quando quella voce stridula si pianta nelle orecchie, è davvero difficile restare impassibili, prenderei un fucile a pompa e farei saltare il cervello di quella voce di turno: antipatica, acida, e che si comporta un po’come un martello pneumatico, che quando arriva ai miei timpani, batto la testa come se ne fossi mitragliata! Questa è una delle ragioni per cui al mattino voglio il silenzio e per cui se accendo la tv tolgo il volume, sì, ad alcune persone vorrei togliere la voce, come posso fare? Gli eviro le corde vocali e le vendo al mercato degli organi? Come si fa in questi casi? Mrs Maude aveva esattamente la tonalità giusta per farmi partire l’embolo. Decisi di appartarmi un po’ con il panettiere, lui sì che aveva una bella voce: calda,suadente, profonda, da maschio in calore, in calore di me.
Eravamo nella stanza rossa della Tonnara, quella col camino, quella col disegno dei pavoni, non ci credevi che stavi con me, continuavi a blaterare conversazioni ai limiti dell’assurdo su Herzog, Ellroy (Hey, mica male per uno che impasta dall’alba al tramonto, ma quanto sono stronza?!) e la Milano degli anni Cinquanta. Mi hai braccato, mi hai fatto una corte spietata, e alla fine ho ceduto, forse per noia, per il bisogno di sentirmi idolatrata, per ammazzare il tempo. Lo ammetto ho fatto l’ochetta, sapevi del mio finto atteggiamento frivolo, mi reggevi la parte, forse eri più furbo di me, ti avevo sottovalutato. Parli troppo veloce, vai troppo veloce, quante volte ti ho chiesto di andare piano, lentamente, senza fretta.
La voce in questione mi eccitava tremendamente, era la sua voce, la zona che reputavo più erogena, non il suo cazzo, la sua abilità “linguistica”, ma la sua voce.
Lo avevo rivisto a casa di Harold & Maude, o meglio decidemmo di incontrarci direttamente lì, da lontano non mi aveva fatto effetto, poi si avvicinò con qualcosa da bere e iniziò a proferire parola, mi bagnai all’istante, abbassai lo sguardo imbarazzata e feci un sospiro guardando quella notte stellata.
-Stasera evitiamo ok?-
-Non ti senti sola?-
-Panettiere, fai marcia indietro-
-Ok, fai il siparietto della sostenuta, vedi di chiuderlo subito, però-
-Certo che devo farlo, mi devo riscaldare?Panettiere!-
-Fammi vedere le dita-
Me le portai alla bocca, gli accarezzai la mano, forte, grande, e succhiai quelle dita avidamente, guardandolo, a lui non feci fare nulla, faceva parte del giochino, doveva stare immobile, dovevo stuzzicarlo, farlo impazzire e lui non doveva cedere. Non mi piace correre, mi piace andare piano, senza fretta, potrei rimanere in questo recinto di piacere per sempre, l’orgasmo ne è solo la risoluzione, e se pascoli bene in questo recinto, la risoluzione sarà una bomba, una scossa potentissima, roba da perderci i sensi. Il panettiere voleva sposarmi, voleva che lasciassi Luca, Robi, Yannick e che restassi con lui per il resto dei suoi giorni, mi sentivo confusa da tanta sicurezza, da tanta decisione, dopotutto mi piaceva crogiolarmi nelle questioni “sospese” e spilucchiare da queste solo il meglio, ma prima o poi sarei stata chiamata o a prendere una posizione (hey non ridete è per esprimere il concetto!) non risposi alle sue arringhe, come al solito preferii il silenzio, più comodo, meno compromettente.
-Ti prego panettiere, baciami soltanto, fai l’amore con me, senza pensare, senza parlare.
Mi girai verso la parete, mani sul muro, bacino inarcato, il panettiere stava per sbottonarsi, con uno sguardo ammonitore, gli chiedo di usare solo le dita, mi alza il vestito, mi abbassa le mutandine, inarco il bacino, inizia la danza, me la apre simulando il gesto delle forbici, apro le gambe ancora di più, perché le voglio sentire chiare dentro di me, non voglio un azione confusa, voglio un tocco deciso, lui mi prende anche davanti, premendo il bottoncino fatato, abbandono la testa all’indietro sulla sua spalla, mi prendo i seni, mi sento le ginocchia deboli, con le dita va più deciso, più lento, ma più profondo. Mi piace non amo la velocità, non è vero che bisogna andare veloci, cazzate, almeno non con me, perché devo sentire tutto, capire tutto, ogni centimetro di godimento devo decifrare, interpretare.
-Ah stai stringendo, vieni amore mio-
Adesso le sue dita sono ad uncino, mi prende per il collo, mentre sto per venire, dicendomi che sono meravigliosa. Cerco di ricompormi, mi accendo una sigaretta e mi affaccio alla finestra.
-Vuoi solo questo?
-Sì panettiere, scusa anche le donne si comportano da uomo di tanto in tanto.
-Io te lo faccio fare solo perché ti amo e ti rispetto
-Ti ringrazio per il rispetto
-Ma a volte Fiamma, ti prenderei e basta, e ti picchierei anche, perché mi fai incazzare da morire.
-Ci vediamo domani campione
Misi le chiavi nella serratura, e corsi a immergermi nel sandalo e nei fiori di loto, rimasi in acqua tutta la notte.

©VivienneLaNuit

The Housemartins, The Light is Always Green, The People Who Grinned Themselves to Death, Go! Discs 1987.

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